Scicli, città felice?

Ci piace leggere e condividere le vostre esperienze di viaggio, vi proponiamo il bel racconto di Patricia che ha scoperto Scicli passo dopo passo, bontà dopo bontà. Le sue parole, le sue foto e i suoi consigli sono utili a scoprire o riscoprire Scicli. Se vuoi Racconta il tuo viaggio.
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Nel suo romanzo incompiuto, Le città del mondo, Elio Vittorini è così che descrive Scicli: «È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna…Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle».

Stimolata da questa particolare corrispondenza tra bellezza e felicità, un lontano e caldo pomeriggio di luglio, decisi di raggiungere la città barocca. Lo scrittore non si sbagliava, Scicli è una città incantevole: un teatro del tardo barocco siciliano incastonato in una conca tra diverse cave. Un presepe rupestre fatto di tegole, case, dirupi, chiese, carrubi, mascheroni dorati, teste di moro e fiabeschi grifoni che sbucano, senza preavviso, da suggestivi vicoli. In lontananza, poi “il mare africano” di Donnalucata, Cava d’Aliga e Sampieri.

Una volta raggiunto il paese, la prima immagine che “abbraccia” lo sguardo del viaggiatore, è quella della Chiesa di San Matteo, simbolo di Scicli. Luminosa, grazie alla sua pietra bianca, la chiesa fa gli onori di casa e dal suo colle domina su una «una piccola Sicilia ammonticchiata, di nespoli e tegole, di buchi nella roccia, di terra nera, di capre, con musica di zampogne».

Di fronte alla chiesa di San Matteo, anch’esso posto su un colle, si trova il convento della Croce di epoca tardo medievale, coacervo di stili differenti, sinfonia di forme diverse. Dal suo grande cortile si può distinguere perfettamente la forma del paese. Scicli dall’alto ricorda un grande pesce che si getta in mare, che all’imbrunire diventa dorato. Al tramonto, infatti, Scicli offre uno spettacolo che lascia storditi: si tinge di giallo, è uno sberluccichio inarrestabile.

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Sotto il Convento della Croce, sorride silenziosa la chiesa di San Bartolomeo, elegante e sobria. Qui l’imponente prospetto barocco contrasta con la nuda pietra della scenografica cava che fa da sfondo alla chiesa. Salotto del barocco sciclitano è senza dubbio la via Francesco Mormina Penna: tripudio di forme e figure. Tra oleandri e chiese tardo barocche, qui trovano giusta collocazione anche palazzi neoclassici, rococò e liberty. Di particolare interesse è la chiesa di San Giovanni con la sua facciata concavo convessa. Al suo interno è conservato il Cristo di Burgos di origine spagnola, comunemente conosciuto come il Cristo in gonnella per la veste sacerdotale lunga fino alle caviglie. Una volta fotografato il dipinto, capovolgete la foto e osservatela sottosopra. Cosa vedete?

Dalla via Mormina Penna si può raggiungere a piedi piazza Busacca, dedicata al suo benefattore. Qui non potete non assaggiare la granita alle mandorle tostate e il cannolo alla ricotta. Pochi passi verso via Dolomiti e potrete assaggiare il gelato più buono alla Gelateria degli angeli. Se invece volete mangiare la scaccia, tradizionale focaccia ragusana, raggiungete Gustibus (via Fratelli Bandiera, 75) oppure il panificio Giavatto (via Cristoforo Colombo, 21). L’alternativa è la scaccia fatta in casa, frutto di una tradizione antichissima. Potreste, quindi, provare a far conoscenza con la gente del posto e farvi invitare a cena. Non avrebbero nulla in contrario.

Ritornando alla citazione dello scrittore Elio Vittorini e alla relazione tra bellezza e felicità, io non lo so se gli sciclitani sono realmente felici perché la felicità è uno stato di benessere troppo personale e soggettivo. Ciò che posso asserire con certezza è che gli sciclitani sono generosi e entusiasti della loro terra: trasudano amore profondo e hanno la capacità di far innamorare le persone che ascoltano i loro racconti sulla città, come quella della “truvatura”.

Gli sciclitani sono allegri e si divertono anche durante le feste religiose. Una da non perdere è la festa del Gioia, o la festa dell’Uomo vivo, a Pasqua. È un pittoresco rito, tra sacro e profano, che non lascia indifferenti nemmeno i più agnostici. Portata fuori la statua del Gioia dalla chiesa di Santa Maria la Nova, ha inizio la processione scandita da ritmi diversi: la statua viene portata tra le vie del paese prima velocemente, poi lentamente e poi di nuovo velocemente. È un tripudio di corpi, mani, urla, spinte e corse che raggiungono l’apice con una sorta di ballo frenetico in cui l’Uomo vivo viene fatto girare velocemente su se stesso trasformandosi in una grande girandola. Segnatelo sulla vostra agenda: la pasqua sciclitana è un appuntamento irrinunciabile.

Potrei continuare a descrivere Scicli pietra per pietra perché dopo quel lontano pomeriggio di luglio sono ritornata a tante volte in questo “ultimo angolo di SicIlia”, lasciandomi stupire sempre da particolari diversi o anche dagli stessi, ma che assumevano, di volta in volta, nuovi significati ai miei occhi. Io non lo so se a Scicli la gente è felice, ma una cosa è certa lo sono io tutte le volte che mi accoglie.

Patricia

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